Sopraffatti dalla civiltà dei semafori

Sopraffatti dalla civiltà dei semaforo

di Raoul Follereau

Sopraffatti dalla civiltà dei semafori

Un amico semi-filosofo, semi-stravagante mi ha raccontato:

“Dopo lunghi anni di solitudine imposti dal suo stato, un pazzo viene finalmente autorizzato a passeggiare nel giardino del manicomio. Un piccolo recinto chiuso da alte mura, grigie, forate da piccole gabbie assolutamente uguali, tristi monotone. Accompagnato da un sospettoso guardiano va fino al cancello e guarda fuori…

Al centro, c’è una piazza che assomiglia a un lago di bitume, sembra attraversata da un fiume d’acciaio.

Un corteo do mostri, grandi o piccoli, che si incalzano, si ravvicinano senza raggiungersi, anche se fanno finta di volersi divorare a vicenda. Perché? che vogliono? Dove vanno? L’uomo l’ignora, ma non se ne stupisce: è pazzo. Improvvisamente trasale. All’orizzonte si rizza una specie di fantasma scheletrito, dominando la marea che sembrava irresistibile. Questo fantasma ha tre occhi che apre alternativamente, sempre nello stesso ordine: verde, giallo, rosso; verde, giallo, rosso… senza fermarsi mai. Anzi sono proprio i mostri che si fermano.

Davanti all’occhio rosso, fisso e impassibile, emettono grandi gemiti, poi incominciano a scalpitare e talvolta i loro paraurti si salutano senza amicizia. Il tiranno gode un momento la propria vittoria, ammicca un istante con l’occhio giallo, apre l’occhio verde. E balzando, rombando, i mostri ripartono. Per dove? Perché? Il pazzo non lo sa…. Ma è meno sicuro di essere pazzo.

Improvvisamente chiede al guardiano: “Ma quanti pazzi ci sono in quelle scatole”? Il guardiano alza le braccia allibito e si scopre così il polso. Il malato attonito gli chiede: “Come anche tu hai le manette?” Gettando uno sguardo furtivo sull’orologio da polso: “E’ ora di ritornare”, brontola allora il guardiano. “Decisamente questo non vi serve a nulla”.

Risi ma fui incapace di evitare il silenzio che sopravvenne. Avevo fretta e avrei voluto guardare anch’io la mia “manetta”. Il mio amico indovinando il mio pensiero continuò: Un tempo i nostri padri dicevano: ” Ho tempo. Ora, sopraffatti dalla civiltà dei semafori, è il tempo che ci possiede, che ci ha ridotti alla più degradante schiavitù. Siamo mandrie impazzite che corrono invano dietro alla propria vita”.

Precedente Ricorsi storici tra divinità e umanità Successivo Ie tu i Valendine Due serate da incorniciare